Scanu (Confindustria Sardegna): l'industria va sostenuta

«Si sta diffondendo una cultura antimprenditoriale che si traduce poi in un no a qualsiasi attività produttiva, in continui ostacoli e complicazioni, che hanno come unico risultato quello di non far nascere imprese sane nella nostra isola». Così il presidente Scanu all'indomani dell'incontro con il presidente della Regione Pigliaru al quale Confindustria Sardegna ha presentato il progetto "Make it in Sardinia".

Pubblichiamo l'intervista integrale rilasciata dal presidente di Confindustria Sardegna Alberto Scanu e pubblicata sulle pagine economiche della Nuova Sardegna nell'edizione del 29 marzo 2014.

Presidente Scanu pochi giorni fa, come Confindustria sarda, avete incontrato il Presidente Pigliaru e gli avete consegnato un documento dal titolo significativo "Make It in Sardinia", "Facciamolo in Sardegna", cosa intendete con questo invito che è anche un incitamento?

Credo che in Sardegna si stia sempre più diffondendo e radicando una cultura anti imprenditoriale ed anti industriale che si traduce poi in un "non fare", in un "no" a qualsiasi attività produttiva, in continui ostacoli, complicazioni burocratiche, oneri amministrativi, che hanno come unico risultato quello di non far nascere imprese sane nella nostra isola.

Il nostro documento vuole essere un invito invece ad avviare una nuova stagione che veda l'impresa al centro dello sviluppo, motore della nostra ripresa.

Avete ripreso un vecchio slogan di Confindustria che diceva che "lo sviluppo non lo porta la cicogna"

Si, qualcuno crede che lo sviluppo discenda dal cielo, grazie ad una mano esterna, ad un grande leviatano, ma il lavoro, la crescita sono inestricabilmente legati all'impresa. E' l'impresa che porta lo sviluppo.

Però molti accusano l'industria di aver danneggiato questa Regione.

Innanzitutto le cose vanno sempre contestualizzate nel momento storico in cui nascono. Ciò che oggi appare sbagliato o dannoso, potrebbe non esserlo stato 20 o 30 anni fa. Vorrei ricordare che quando lo Stato promosse l'industrializzazione del Mezzogiorno questa venne incentrata sul comparto chimico e petrolchimico perché questo era il settore più avanzato e l'Italia divenne uno dei 5 Paesi più industrializzati al mondo anche grazie a quella scelta. Non dimentichiamo che, da quell'industria, l'Italia ebbe un Premio Nobel e su di essa si costruì un Paese moderno.

Ma di quell'industria ora ci sono solo macerie e siti inquinati che vanno bonificati.

Dovremmo però interrogarci perché quell'avventura è finita e perché non ha portato gli effetti sperati, anziché sparare contro in maniera assolutamente acritica ed "umorale". Certo di quell'industria restano adesso le ciminiere tristemente spente, ma ci ricordiamo come eravamo prima che quelle industrie nascessero? E soprattutto ci ricordiamo dove eravamo? Quanto ai siti inquinati, nessuno vuole affermare che non ci siano e che non vadano bonificati, però sarebbe un errore continuare a legare situazioni createsi in anni molto lontani con le industrie attuali.

Cosa intende dire?

Intendo dire che il mondo, per nostra fortuna è cambiato, ed è cambiato in meglio. L'Unione Europea ha una delle legislazioni ambientali più vincolanti per le attività industriali. Il comparto della chimica è sottoposto a norme molto rigide di livello comunitario e nazionale che obbligano ad utilizzare le migliori tecnologie per ridurre l'impatto dell'attività industriale sull'ambiente ed il territorio. Sono norme che vengono continuamente aggiornate ed adeguate. Come Confindustria non siamo sempre contenti perché spesso queste norme riducono la competitività dell'industria nazionale rispetto a quella dei principali competitor che operano in Paesi meno attenti ai temi dell'ambiente, ma l'Europa ha scelto di seguire questa strada, e le industrie italiane stanno facendo la loro parte.

E' quindi un errore collegare industria ed inquinamento, distruzione del territorio, danni all'ambiente. Si fa solo terrorismo e si dimostra di ragionare secondo logiche ormai largamente desuete.

Però chi inquina dovrebbe pagare.

Certamente, nessuno sta dicendo il contrario. Però bisogna anche distinguere le responsabilità che non sono sempre e soltanto dell'impresa. Spesso certe situazioni sono anche il frutto di una "distrazione" da parte di chi è chiamato a gestire i beni pubblici.

Molti ritengono che la storia dell'industria sia fatta da imprese e imprenditori, spesso di fuori, che prendono i soldi e poi scappano lasciando capannoni vuoti e famiglie sulla strada.

Anche qui, non voglio dire che non ci siano stati casi anche importanti di imprese che abbiano beneficiato di risorse pubbliche e che poi abbiano chiuso, o in alcuni casi addirittura non abbiano aperto. Si tratta evidentemente di situazioni che sono inaccettabili e noi siamo i primi a ritenere che vadano perseguite.

Riallacciandomi però al discorso di prima, si deve evitare di "fare di tutta un'erba un fascio". Non è che perché in un certo paese ci sono stati alcuni omicidi tutti i cittadini sono degli assassini. Alla stessa stregua, a fronte di alcune "mele marce" ci sono tanti imprenditori onesti, tante imprese, tante industrie, che contribuiscono a far crescere questa nostra Regione, e di queste si parla molto molto poco.

Inoltre sono convinto che questa visione sempre e comunque diretta a mettere in luce l'industria come fonte di tutti i nostri mali, passati e presenti, non faccia altro che alimentare le ossessioni anti industriali e anti mercato.

Come si può risolvere il problema delle bonifiche?

Bisogna essere realistici. In alcuni casi chi ha creato il danno non esiste più e qui si tratta di programmare un intervento pubblico che, con risorse adeguatamente calibrate, progetti definiti chiaramente ed una gestione efficiente ed efficace, avvii e porti a termine le bonifiche. In altri Paesi, penso alla Germania che non mi risulta essere un Paese de-industrializzato, questo è stato possibile. Da noi abbiamo enti pubblici che da decenni stanno portando avanti bonifiche interminabili, pozzi senza fondo che fagocitano risorse pubbliche, senza che si veda mai la fine degli interventi programmati.

Laddove invece le imprese sono ancora presenti si tratta comunque di definire un accordo di programma che, in un lasso di tempo definito e con precisi impegni da parte sia del pubblico che del privato, consenta di portare avanti gli interventi.
Credo che il muro contro muro non porti da nessuna parte.

Tra le molte critiche che vengono mosse all'industria c'è anche quella di essere la causa dell'uscita dall'Obiettivo 1

Si tratta di una leggenda metropolitana, come quella degli alligatori nelle fogne di New York. Siamo usciti dall'Obiettivo 1 in quanto il nostro PIL pro-capite, che nel periodo 2000-2006 era inferiore al 75% della media dell'Unione europea a 15 , nel 2007 risultava pari al 79% della media dell'Unione europea a 27. Alcuni ritengono che sia colpa della raffinazione del petrolio e della chimica il cui contributo congiunto sul PIL pro capite incide però solo per l'1,9%. Quindi, in ogni caso saremmo stati fuori.

E comunque, in ogni caso, credo che perseverare con questa questione dell'uscita dall'obiettivo 1 sia un errore di prospettiva in quanto porta tutti a ritenere che dobbiamo essere sempre e comunque assistiti e che non possiamo farcela con le nostre forze.

Troppe risorse, date gratis, e spesso senza costringere tutti noi a raggiungere risultati concreti rischiano di dare assuefazione e farci credere che siano dovute. Invece no, non ci sono dovute, dobbiamo guadagnarcele e dimostrare che sappiamo impiegarle bene.

Petrolifero, chimica e metallurgico pesano però per oltre il 91% sull'export regionale.

Certamente, ma non è un problema di questi tre settori, è un problema del resto dell'economia regionale. Su un export che nel 2013 è stato di circa 5,4 miliardi di euro, se si toglie l'export petrolifero-chimico-metallurgico, gli altri settori tutti insieme sommano poco più di 447 milioni di euro e di questi 168 sono imputabili all'agroindustria. I prodotti agricoli pesano solo 6 milioni.

Anche in questo caso è colpa delle grandi industrie? Certamente no, siamo di fronte ad un deficit generato da politiche inappropriate e da un gap imprenditoriale, abbiamo poche piccole e medie industrie. E quelle che abbiamo sono deboli, producono principalmente sul mercato locale, operano in settori maturi, sono poco innovative. In parole povere, sono deboli.

E non è colpa della grande industria. So che trovare una giustificazione esterna per le nostre incapacità è comodo, ma non è utile.

Quindi la risposta non è meno manifatturiero.

Assolutamente no, chi lo pensa sbaglia. Certo il manifatturiero è cambiato profondamente e non è più quello delle produzioni di base, ormai delocalizzate in altri continenti. Ma pensare che si possa fare a meno del manifatturiero, immaginando una Regione tutta pascoli immacolati, ecoturisti contenti, agricoltura sostenibile, agriturismo e via dicendo, è un errore.

Abbiamo bisogno di più impresa e di più impresa manifatturiera.

Non rischia di essere una difesa di ufficio da parte del Presidente di Confindustria Sardegna.

No, sto semplicemente ai numeri: le aree più dinamiche d'Europa sono caratterizzate da una presenza diffusa di piccole, medie e grandi imprese manifatturiere e di servizio alle imprese, moderne, sostenibili ed innovative. Le aree più deboli viceversa sono simili alla nostra. Ci sono strade diverse? Io non le conosco, ma se qualcuno è di diverso avviso, si accomodi, mi dimostri che sbaglio.

Tra i fattori che potrebbero migliorare la competitività della nostra Regione ne indichi due che ritiene fondamentali.

Il primo è l'energia. Attenzione, l'energia è un fattore di competitività non solo per le imprese, ma anche per l'intera popolazione. Poter disporre del metano riduce i costi energetici sostenuti dalle famiglie. Pensi solo quanto una famiglia media spende per riscaldare la propria casa o l'acqua. Ma ci sarebbero costi minori di gestione per scuole, ospedali, uffici pubblici. Abbiamo calcolato che in media si avrebbe un risparmio annuo pari a 500 milioni che si potrebbero tradurre in maggiori consumi e investimenti.

Il secondo è la semplificazione. Le imprese sono asfissiate dalle complicazioni burocratiche, da leggi e direttive che si incrociano e sovrappongono in un viluppo incomprensibile ai più. Fare impresa è diventato un incubo: passiamo più tempo a compilare carte e cercare di capire cosa c'è scritto in una legge che a produrre un bene o un servizio. Questo è un Paese, una Regione complicata.

In conclusione, Presidente Scanu a chi dice no all'industria cosa risponde?

Guardi, purtroppo viviamo in un'epoca in cui non si dice "no" solo all'industria, si dice "no" a tutto, è un "no" a prescindere. Non vogliamo le antenne vicino a casa, ma magari abbiamo due cellulari. Non vogliamo che si estragga il metano o si lavori il petrolio, ma abbiamo auto che vanno a benzina ed inquinano. Non vogliamo le cave di granito o di marmo, ma ci piace che, nelle nostre case, i pavimenti siano proprio di quei materiali.

E' questa cultura del "no" sempre e comunque che non ci sta facendo crescere.

Per informazioni rivolgersi all'Associazione degli Industriali della Sardegna Centrale
Referente: Francesca Puddu - Comunicazione Associativa
Telefono: 0784 233311
Fax: 0784 233301
E-mail: f.puddu@assindnu.it
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