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Aumenti dei prezzi delle materie prime. Federalimentare: rischio aumenti per i consumatori. Assocarni chiede confronto con la GDO

Riportiamo di seguito la nota di Federalimentare che ha lanciato l'allarme per l'aumento dei prezzi delle materie prime. Intervengono anche Assocarni e Uniceb che chiedono l'apertura di un tavolo urgente con la GDO per evitare il rialzo dei prezzi per i consumatori finali.

«Orzo, mais e soia registrano tassi di aumento dei prezzi fino al 50% a maggio 2021 rispetto a ottobre 2020 - segnala Federalimentare -. Un aumento su cui hanno inciso, seppur in modo indiretto, le quotazioni del petrolio e dei metalli (per quanto riguarda ad esempio gli imballaggi), in molti casi oltre i massimi rispetto a un anno fa, i costi dei noli e dei container, rispettivamente triplicati e sestuplicati rispetto al 2020. "Sono spinte che per il momento ricadono sulle spalle dell'industria alimentare - spiega il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio - ma che presto potrebbero abbattersi sui prodotti finiti e quindi sui consumatori".

È questo l'allarme lanciato da Federalimentare, fotografando una situazione che, almeno per il momento, è tutta sulle spalle dell'industria alimentare: "Le nostre imprese - spiega Vacondio - stanno vivendo una fase paradossale. Dopo avere assicurato le forniture ai mercati in un anno difficilissimo come il 2020, non si trovano ancora nella fase auspicata di una progressiva ripresa. In attesa dei faticosi profili di rilancio dell’export e di Horeca, infatti, le nostre industrie devono fronteggiare una fase di ulteriore stretta, che potrebbe non essere breve e che sta recando oggettivi problemi e nuove preoccupazioni alla categoria".

I prezzi alla produzione dell'industria alimentare, infatti, dopo aver registrato nel gennaio scorso tendenziali del -0,4%, sono saliti al +0,9% a marzo, mentre i prezzi al consumo dell’alimentare trasformato sono andati in senso opposto, diminuendo dal +0,1% di gennaio al -0,8% di aprile. "Il risultato è una compressione dei margini nella filiera alimentare - commenta Vacondio - ulteriormente amplificata dal fatto che le vendite relative ai canali del fuori casa sono state ampiamente tagliate e non hanno consentito all'industria di trovare su questo fronte qualche recupero o compensazione". Un problema confermato anche dai numeri: sebbene la produzione alimentare del 1° trimestre sia aumentata in quantità del +1,8%, il fatturato trimestrale è diminuito del -0,7%.

Per questo, in molti comparti alimentari la preoccupazione inizia a farsi sentire. Sul fronte molitorio, un comparto di prima trasformazione, le cose sono andate inevitabilmente peggio della media. Mentre l'industria alimentare ha evidenziato un aumento medio dei propri prezzi alla produzione del +0,9% nel tendenziale marzo 2021/20, la “lavorazione delle granaglie” ha segnato in parallelo un aumento cinque volte superiore, pari al +4,5%. Accanto a quello molitorio, c'è un altro comparto di prima trasformazione, quello dei “prodotti per l’alimentazione animale”, che nel tendenziale di marzo è arrivato al +6,6%, con una punta ulteriore e specifica dei “prodotti per gli animali da allevamento”, che si sono spinti fino al +7,5%. Anche la pasta ha subito un'accelerazione dei propri prezzi alla produzione: dal +0,3% del tendenziale di dicembre al +2,9% di marzo. “Numeri che possono con buona probabilità peggiorare” commenta il presidente di Federalimentare.

"È chiaro che l'industria alimentare non può caricarsi, da sola, di ogni tensione di costo: tutta la filiera deve fare la sua parte se vogliamo superare questa crisi senza che il consumatore ne risenta. Se le cose rimangono come sono ora, presto le preoccupazioni sull'aumento dei prezzi dei prodotti che finiscono sugli scaffali si trasformeranno in realtà" conclude Vacondio.

“È stato davvero toccato un punto di non ritorno – dice Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni – Non è più possibile accettare che il valore di un animale di qualità eccellente come quello prodotto in Italia sia fermo esattamente al valore pagato oltre trent’anni fa, mentre sugli scaffali i prodotti hanno seguito gli andamenti dell’inflazione di questi trent’anni, coerentemente con gli aumenti di tutti gli altri prodotti alimentari”. E prosegue il presidente “Gli allevatori a queste condizioni non possono che smettere di lavorare e ciò sarebbe disastroso non solo per le nostre straordinarie eccellenze alimentari che scomparirebbero, ma soprattutto perché aumenterebbe la nostra dipendenza dall’estero per un prodotto così necessario, senza contare l’abbandono di amplissimi territori della nostra penisola che verrebbero consegnati al degrado idrogeologico e alla desertificazione provocando la scomparsa di intere comunità. Facciamo un appello alle catene distributive che più tengono all’italianità e al nostro Paese affinché vengano incontro ad un giusto riconoscimento per i nostri allevatori”.

 

Fonte: Federalimentare, Assocarni

 

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